Per un’eterna resistenza

Volendo, ci si può girare intorno, e chiedersi se, secondo le norme e i regolamenti, la Fincantieri poteva, come ha fatto, trasferire quei dipendenti iscritti alla Fiom che, casualmente, erano intervenuti in un’assemblea con posizioni critiche rispetto alle politiche aziendali. O possiamo interrogarci se i sindaci che si sono fatti sospendere con uno stratagemma per candidarsi al Consiglio regionale della Campania abbiano la possibilità legale di farlo. O dirci che va bene, i rapporti e le condizioni di lavoro sono dure e peggiorate, però un premio di risultato ai lavoratori come quello che intende dare la Fiat-Fca non è cosa che si vede tutti i giorni. Volendo.

Però, sempre volendo, si può anche pensare a un altro modo di leggere le cose che accadono. E magari ritenere un’intollerabile azione punitiva quella che compie un’azienda, peggio ancora se di Stato, nei confronti di suoi impiegati, spostandoli di modo che imparino a stare al loro posto. Che potenti che, per candidarsi, aggirino le regole che glielo impediscono, o non possano ricoprire il ruolo a cui potrebbero essere eletti, compiono un sopruso. E che dare un premio, solo se le cose vanno bene, in sostituzione dei diritti e stracciando i contratti a chi si spacca la schiena fra ritmi impossibili e per un salario seimila volte inferiore a quello di chi decide per lui è paternalismo. Ma quando tutte queste cose assumono i contorni e la sostanza della Legge, voi come le chiamate?

Perché il prossimo sabato è il 25 aprile, che non è il giorno della sconfitta di truppe straniere sul suolo italiano, ma della liberazione dal fascismo, che fu un prodotto endogeno. Nacque in quel brodo di coltura e in quella temperie culturale tipicamente nazionale, che ancora oggi fa ritenere normale che sia la maggioranza (per di più tale in virtù di una legge incostituzionale), e solo essa, a dettare e scrivere le regole comuni e i sistemi elettorali. Che non fa rizzare i capelli non già quando un poliziotto scrive assurdità su internet, ma assistendo all’assenza assoluta di un moto di rivolta interno alla polizia stessa contro i fatti da quelle parole rivendicate. Che anima chi, in fondo in fondo, gioisce delle difficoltà dei sindacati e della fine delle tutele per chi lavora, perché si pensa che saranno sempre gli altri a pagare, e sempre loro a goderci, nutrendo l’invidia degli sconfitti, i frutti della violenza sulla pelle dei vinti.

Il fascismo, alla fine, è tutto questo: non monumenti più o meno offensivi, né pagine di storia che vanno studiate per poi essere dimenticate e sepolte in una retorica altisonante, come sempre sono i colpi stanchi dati a casse vuote.  Esso non fu invasione, non restaurazione o, tanto meno, rivoluzione; come intuì Giustino Fortunato, fu rivelazione, venuta alla luce e arrivo al comando di un carattere comune, accettato e condiviso, costantemente alimentato dal conformismo, onnipresente pericolo contro cui metteva in guardia Pietro Calamandrei, che fa aderire al racconto dei più e scagliare contro, accusandoli di tutti i problemi e le difficoltà, i meno, i pochi, quelli che hanno, e non sono disposti a lasciare, idee, culture e posizioni diverse.

Fra meno di una settimana, quando garriranno al vento fazzoletti colorati e riempiranno l’aria quelle belle ed entusiasmanti parole, ricordatevi anche di cosa fu e come nacque allora ciò di cui festeggiamo il settantesimo anniversario della fine, i suoi argomenti e le sue caratteristiche più subdole e pervasive, le onnipresenti e mai estinte “ideologie piccolo-borghesi” all’origine di quello che Carlo Levi chiamava il sempre riapparente “eterno fascismo italiano”.

E queste a chi indossando quei colori vi dirà quelle parole  commisurate.

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1 risposta a Per un’eterna resistenza

  1. doriano scrive:

    Grazie Rocco per i i tuoi pensieri,”mi spieghi che penso”.

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