Ma sì, i tassisti sono di destra

“Gli ambulanti sono una categoria fortemente corporativa, politicamente egemonizzata dalla destra”, mi ha spiegato alcune settimane addietro un amico, dopo una serrata totale di questi commercianti a Cuneo. Forse è così. D’altronde, le categorie organizzate hanno sempre tratti di conservatorismo più o meno marcati. Elementi del genere si possono scorgere fra i notai, i farmacisti, gli avvocati, i giornalisti, e pertanto devono esserci pure fra gli ambulanti o i tassisti.

Qualche giorno fa, a Torino, in via Sacchi nei pressi della stazione di Porta Nuova, ho notato un’auto con un cartello fissato all’interno del lunotto posteriore: “Je suis taxi legale”, c’era scritto sopra. Chiaramente, voleva quella essere una risposta polemica a Uber, il servizio via app che i tassisti tradizionali vedono come il fumo negli occhi. Ora, non voglio dare giudizi o scegliere parti in una contrapposizione di cui poco conosco i dettagli. M’interessa di più il quadro in cui essa si inserisce: quello delle liberalizzazioni, di cui spesso la sinistra si mostra più convinta della destra, almeno nelle sue forme politiche maggiormente strutturate e numericamente importanti.

Per carità, il mondo va avanti e alcuni processi non si possono arrestare, e magari quello stesso tassista torinese compra i biglietti aerei via web, contribuendo ai problemi economici dell’agenzia viaggi sotto il portico nei pressi dello stallo in cui era parcheggiato. Però, non si può nemmeno colpire con la stessa furia liberalizzante i tassisti e i notai. Anche perché, di solito i secondo non sono quasi mai colpiti, e questa la dice lunga su quanto liberamente di sinistra siano alcune politiche.

Insomma, non so se quanti trascorrono la loro giornata fra semafori e ingorghi e chi tra una firma e un rogito aderiscano alla stessa idea e organizzazione politica; di certo, faccio fatica a immaginarli appartenenti alla medesima classe sociale. Perché il problema, per me, è anche qui: gli assegnatari di una piazzola al mercato o di una licenza nel traffico non riesco a proprio vederli quali campioni di una fazione conservatrice dei loro privilegi allo stesso modo dei titolari di uno studio notarile o di una farmacia da generazioni.

Inoltre, davvero la liberalizzazione di un servizio taxi porta tutto questo beneficio? A chi? A quelli che possono risparmiare qualche euro su una corsa in auto verso parco della Vittoria, dato che chi va a vicolo Corto al massimo prende il tram, se passa. Perché agli operatori e ai lavoratori non credo, come non ne hanno portate quelle nel mercato dell’energia o dei telefoni, a meno di non voler considerare un salto in avanti di civiltà l’essere costretti a vendere via telefono o casa per casa contratti per nuove forniture, avendo in tasca un accordo d’impiego che definire contratto è un’offesa alla civiltà del diritto, prima ancora e al di là di quella del lavoro.

Mah, probabilmente sbaglio io. È che quando guardo un taxi non posso non pensare alla Signorina Effe, il film, e a Sergio, l’operaio che alla fine della stagione di lotta, perde il suo lavoro nella grande fabbrica, anche perché, di quel conflitto, la maggioranza silenziosa e da questo non toccata, non ne poteva più. Per sopravvivere, s’indebita e compra una licenza, e gli capita di ritrovarsi sul suo taxi, in quella stessa Torino delle lotte, la signorina della sua giovinezza, licenziata alla fine pure lei, perché i maggioritari silenti non sono mai classe.

E finisce che, trent’anni dopo, arriva un software sviluppato da qualche azienda, senza dipendenti a godere dei suoi successi, che fa milioni vendendolo, e la maggioranza silenziosa, di nuovo e questa volta da sinistra, gli spiega che le sue proteste per vivere sono sbagliate, e che quello è il futuro. Poi dice che un tassista si butta a destra.

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