Ma perché son così nervosi?

A volte me lo chiedo davvero. Il perché i vincenti siano così nervosi, dico. Insomma, hanno vinto e continuano a vincere, detengono ruoli chiave nelle istituzioni dello Stato (povero Stato detenuto), son ricchi e potenti, eppure sono irritabili, eccessivamente tesi, quasi spaventati, azzarderei.

Sarà una mia impressione, però guardate che è strana questa cosa qua. Prendete uno come Stefano Esposito. Oggi fa il senatore, nei cinque anni precedenti era deputato e molto probabilmente sarà parlamentare anche al prossimo giro, magari proprio grazie a quell’Italicum con i capilista bloccati a cui il suo super canguro ha spianato la strada. Non è certo il tipo che si debba preoccupare di garantirsi un futuro; allora perché è così nervoso da definire i pochi, sparuti, e ininfluenti nei numeri, oppositori della stragrande maggioranza di cui fa parte “parassiti”?

E poi, leggetela quell’intervista rilasciata ieri a la Repubblica. La scelta dei termini, l’uso di un linguaggio triviale, la violenza volgare nel quasi rimpianto di quel “quando non meni mai”; il laticlavio senatoriale, diciamo, dovrebbe abituare ad altri e ben più alti livelli. Ma soprattutto, il sentirsi parte dei più forti perché più bravi dovrebbe far considerare quelli che son sconfitti perché minoritari con maggiore tranquillità. Che cosa potrebbero mai fare questi perdenti, per quanto insolenti, contro i giovani e vigorosi trionfatori?

Il tutto, inoltre, è in evidente e incomprimibile contrasto con le articolate spiegazioni che del dissenso si tendono a vendere e rappresentare, quelle che vogliono le minoranze popolate di rancorosi individui dediti all’esclusiva pratica del nutrire la loro rabbia. Qui, nel leggere quelle parole o nell’ascoltare le molte altre e non dissimili che si sentono a riguardo, i livorosi pieni di astio nei confronti di chi non la pensa nel modo consono, adeguato e conforme alle proprie idee, paiono loro, i vittoriosi.

“Un gigante grida all’altro il suo richiamo attraverso le desolate distanze dei tempi e continua, indisturbato dai nani petulanti e chiassosi che strisciano sotto di loro, l’alto colloquio degli spiriti”, scrive Nietzsche nella seconda delle sue Considerazioni inattuali, Sull’utilità e il danno della storia per la vita. Forse è troppo pensare ai giganti in quelle aule frequentate da gente dedita a spettacoli di cui son piene le cronache parlamentari e non solo. Di certo, però, da chi guida il Paese, uno si aspetterebbe una levatura diversa, soprattutto se, come dice, quelli che si oppongono al suo volere lo fanno solo per perseguire i loro miseri e minimi interessi, quali nani politici, appunto.

Perché è così, giusto? Quelli che perseguono un’idea minoritaria, seppur in linea con quella che tutti nella loro parte definivano la via retta da praticare, lo fanno solamente per il proprio e diretto interesse, vero? Anche quando questo, magari, comporta il dover rinunciare alle comodità che derivano dal sapersi componenti di una comunità ampia, esatto?

Mentre, di contro, fare il contrario di quello che si diceva solo per non correre il rischio di trovarsi da soli o in pochi, rimanendo là dove si decide quello che si può o meno fare, è figlio solamente dell’abnegazione generosa e gratuita, non credete? Pure se, e nell’impossibile ipotesi che, dallo stare lì dov’è maggioranza, indipendentemente da chi la guidi, perfino se questi dovesse essere colui contro il quale fino a ieri si lottava, derivino importanti e prestigiosi incarichi e riconoscimenti, no?

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