I valori dell’Occidente? Quelli quotati in Borsa

La libertà, ovvio. La democrazia, certo. L’indipendenza e la sovranità dei popoli, che domande. La considerazione dell’individuo, di sicuro. Quali se non questi individueremmo fra i primi e principali valori della nostra civiltà se qualcuno dovesse chiedercelo? Su di essi, diciamo sempre, si fonda la peculiarità dell’Occidente e, in un certo senso, pure la sua diversità dal resto del mondo.

Un dato, però, ieri m’ha fatto riflettere. Dinanzi a un attacco terroristico che è stato letto da tutti come un attentato ai princìpi della civiltà europea, le Borse non hanno battuto ciglio. Mentre, rispetto all’ipotesi che i greci, liberamente e democraticamente, scegliessero uno schema di governo per la loro nazione non gradito ai mercati, in tutte le piazze finanziarie del vecchio continente è stato pianto e stridore di denti. Cioè, quegli indici che sempre più orientano le scelte della politica e della società, sono spaventati dalla pratica dei valori definiti fondanti, e fondamentali, della nostra civiltà, ma rimangono totalmente indifferenti se gli stessi vengono massacrati a colpi di kalashnikov.

Insomma, i valori veri, per noi, in definitiva sono solamente quotati e quotabili. Perché un principio è tale se in base a esso si regola la vita di una società. Qui, a svolgere quella funzione di faro e guida, sono il tasso di spread, il rendimento delle obbligazioni, i margini di guadagno su azioni e derivati. Sono questi argomenti, infatti, che stanno decidendo le scelte della politica, e quindi l’organizzazione della vita dei cittadini, dai rapporti economici a quelli di lavoro, passando per la qualità e lo stato del welfare e fino alle relazioni fra gli stessi Stati.

Ecco perché se ammazzano giornalisti che praticavano la libertà di pensiero e parola nel cuore di una delle capitali più importanti d’Europa, gli indici di Borsa sono totalmente indifferenti, mentre se i cittadini di uno dei più piccoli Paesi membri immaginano di poter scegliere democraticamente il loro governo, il loro crollo è repentino e forte, come una minaccia o un avvertimento.

Così è (se vi pare). E poi qualcuno si stupisce che crescano sentimenti antieuropei. Quanto a me, sempre più spesso mi ritrovo a condividere le parole di quel poeta di cui non ricordo più il nome: “La mia patria è la Banca. Ma io vivo in esilio”.

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