Prima, non oltre

“La fine delle ideologie segna anche il superamento di alcuni concetti tradizionali della politica, come quello della distinzione fra destra e sinistra”. Quante volte avrete sentito affermazioni del genere? Molte, di sicuro. E tanti di quelli che sostengono tesi simili, va detto, lo fanno in perfetta e assoluta buonafede, non solo, e non sempre, perché perseguono fini e interessi personali o di parte, che da quella confusione potrebbero trarre vantaggio.

Ma davvero la fine delle ideologie (in realtà, l’ipostatizzazione dell’ideologia dominante) è anche un oltrepassare le divisioni fra la destra e la sinistra? Sì e no. Lo è, perché è vero che in quest’epoca la politica fa tranquillamente a meno di quelle categorie, tanto che gli esponenti dell’una e quelli dell’altra condividono orizzonti valoriali e programmi da attuare. Non lo è, semplicemente perché, più che un andare oltre, è un tornare a prima.

Destra e sinistra, lo sappiamo tutti, nascono nella geografia delle definizioni politiche dalla divisione dei posti nell’Assemblea degli Stati generali, nel maggio del 1789. E segnano, però, anche l’avvento della democrazia intesa in chiave moderna: quella in cui esistono modelli e ideali politici differenti e diversi che si contrappongono e sono fra loro in conflitto permanente. Prima, invece, c’era un unico schema possibile e una sola possibilità di intendere la società e il suo governo, che non ammetteva alternative.

Guardiamo a quello che accade oggi: il capitalismo di mercato (l’ideologia ipostatizzata, appunto), con i suoi valori, princìpi e meccanismi, è, nei fatti, l’unico modo in cui le forze politiche di maggioranza, indipendentemente dai colori e dai nomi che si scelgono, immaginano possano organizzarsi le cose degli uomini. Un altro sistema, per esse, è velleitario cercarlo.

In questa situazione, la politica non mira più alla definizione di ulteriori e più vasti orizzonti, e rinuncia pure a governare i processi; si accontenta della pratica del governo effettivo e concreto degli aspetti quotidiani, della gestione, dell’amministrazione. Anche il politico, intero come colei o colui che costituisce il personale della politica, non è più chi pensa o studia teorie o crea visioni ideali, ma si riassume e coincide col governante, col gestore, coll’amministratore. In quest’ottica, non ha senso parlare di destra e sinistra, come non ne ha discutendo di una linea di arredo urbano, di una tecnica di gestione dell’illuminazione, di una programmazione degli orari dei treni.

Però, ripeto, non è andare oltre, ma tornare a prima. A quando il sistema non era contendibile dai sostenitori di un altro a esso alternativo e opposto, e la politica era al massimo, in basso, la corporativizzazione di quanti avevano obiettivi comuni e abbastanza forza e denaro per perseguirli o, in alto, la divisione in fazioni per la conquista di quel potere che nulla voleva cambiare e ogni cosa comandare.

Fuori da quello schema, vi era (e vi è?) la maggioranza delle donne e degli uomini che in quello e da quello non si sentiva rappresentata e considerata, per la semplice ragione che, in effetti, era (ed è?) proprio così.

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