Buonanotte ai suonatori

Non sono minatori inglesi e nemmeno controllori di volo americani. Soprattutto, non sono gli anni ‘80 del secolo scorso e loro, con gli strumenti e i vestiti eleganti, non danno certo l’idea di faticare per sudarsi un pezzo di pane, in questo Paese investito dalla crisi e avvelenato dalle difficoltà economiche.

Però, il provvedimento preso contro gli orchestrali del Teatro dell’Opera di Roma, sa tanto di azione rivolta a 182 per educarne milioni: tutti quelli che un lavoro, comunque sia, ce l’hanno, e ai quali, ogni minuto, viene ricordato che “avete già un salario, vorrete mica diritti e aumenti? Fuori è pieno di disoccupati pronti a sostituirvi”.

Si determina così la funzione di esercito di riserva (vecchia categoria marxiana) dei disoccupati, strumento di ricatto usato contro le rivendicazioni dei lavoratori, per tanto funzionale al potere e a chi lo gestisce. In pratica, la disoccupazione diviene un vantaggio per governanti e padroni (altra categoria vecchia e quanto mai attuale), che così possono imporre la loro visione, sicuri che nessuno si opporrà, dato che “se protestate, c’è tanta gente pronta a prendere il vostro posto”.

C’è un po’ tutto in questa storia, la confusione iniziale e l’anarchia tipo la Prova d’orchestra felliniana, e pure un quel senso come in Brassed Off, di Mark Herman, quella consapevolezza che, nel turbine della crisi, nessuna attività sia al sicuro, anche se qui non erano dopolavoristi, ma professori e titolati.

Infatti, anche questo è un aspetto qualificante della vicenda, per entrambe le parti. Sembra dire, a chi soccombe, che nulla mette al sicuro, nemmeno un’alta professionalità, dalle decisioni e dalle ansie da tagli (confondendo l’uguaglianza dei diritti con la sommarietà delle scelte), e che quindi, ovviamente, nessuno può sentirsi diverso o più tutelato nella lotta per i diritti e il lavoro e, a chi vince, che può smettere le armi retoriche sulla valorizzazione delle competenze e del merito, tanto il bluff è scoperto.

In questo, le dichiarazioni del ministro per la Cultura sono emblematiche. Dopo la solita prosopopea vuota sulla meritocrazia, le capacità e tutto il caravanserraglio di ovvietà trite e ripetute, Franceschini getta via la maschera e dice: “in futuro, nei teatri solo contratti a termine”.

Se servisse una spiegazione esaustiva di cosa sia per questo Governo la “valorizzazione delle competenze e del merito”, la frase del titolare del dicastero per i Beni e le attività culturali sarebbe ampiamente descrittiva e completamente dettagliata: giovani, studiate, tanto, formatevi, consumate le vostre giornate e nottate sui libri, sugli strumenti musicali, sulle macchine a controllo numerico, sui microscopi o fra algoritmi e funzioni algebriche, diventate altamente professionali e poi si apriranno pure per voi le porte del futuro; solo contratti a termine.

Buonanotte ai suonatori, dunque, e anche ai sognatori di un domani fatto di meno precarietà e più rispetto per il lavoro e l’impegno di ognuno, per la sua dignità di lavoratore e individuo. L’avvenire è solo a tempo determinato: fatevene una ragione. E regolatevi di conseguenza, qualunque cosa ciò voglia dire.

PS: molti penseranno che i professori dell’Opera romana erano dei privilegiati. Può darsi, se privilegiati sono musicisti che studiano tutta le vita e suonano per 2.200 euro al mese, e quegli strumenti lucidi e quei bei vestiti, da lavoro, devono pure comprarseli. Ma se son privilegiati loro, quanto lo è Franceschini? Demagogia? Forse. Ma non credo più di quanto lo sia il definire privilegiati i musicisti capitolini. D’altronde, quand’è il termine del contratto di Francheschini?

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