Lo 0,0001% e la colpevolizzazione delle minoranze

“Nel merito, l’articolo 18 non difende tutti. Anzi, in fin dei conti non difende quasi nessuno. Nel 2013 i lavoratori reintegrati sono stati meno di tremila: considerando che i lavoratori in Italia sono oltre ventidue milioni stiamo parlando dello 0,0001%. È solo un tema strettamente ideologico. Il reintegro spaventa gli imprenditori e mette in mano ai giudici la vita delle aziende”.

Il refrain che Renzi consegna a Claudio Tito, in un’intervista pubblicata su la Repubblica di ieri, è sempre lo stesso: l’articolo 18 si applica a poche persone, quasi a nessuno, tanto vale abolirlo; nessuno o pochi se ne accorgeranno. Però, in stretta punta di logica, è un controsenso. Se riguarda poche persone, quasi nessuno, come può spaventare gli imprenditori? Voglio dire, se per trovare i casi tutelati da quella fattispecie dello Statuto dei lavoratori bisogna aggirarsi come Diogene di Sinope armati di lanterna, come possono essere quelli il freno più potente per il rilancio possibile dell’economia?

È chiaro, ovviamente, che non c’entra nulla la portata di quell’articolo con la ripresa dell’occupazione, come è chiaro che il problema per il potere moderno sia sempre lo stesso: la resistenza all’omologazione da parte di alcuni. Cioè, per chi governa il problema non sono le azioni di coloro che gli si oppongono, ma l’opposizione in quanto tale.

Concependosi come l’unico potere possibile, è chiaro che non può ammettere l’esistenza di qualcuno che lavori per un altro schema, per l’alternativa.  Un atteggiamento comprensibile, come comprensibile è l’altro atteggiamento di autoprotezione dei potenti: quello di fingersi deboli.

“I poteri forti sono contro di me, ma io vado avanti”; quante volte l’avete sentito in questi giorni? Quali sarebbero i poteri forti? Il Governo? Il presidente della Repubblica? La Fiat di Marchionne? I finanzieri come Serra? Di quali poteri parla il presidente del Consiglio? È finzione, come quella del lupo che incolpa l’agnello, come se Golia si dicesse vittima della potenza della fionda di Davide.

“Bisogna avere il coraggio di superare conservatorismi e corparativismi”; anche questa avete sentito, vero? Quando si parla di coraggio, però, il pensiero corre al debole che sfida il forte. Qui, invece, si vuol far passare l’idea che il coraggio sia quello del potente che se la prende con i pochi, della maggioranza che sfida le minoranze, del Governo che schiaccia nell’angolo gli oppositori, superando il dissenso facendo leva sul consenso di cui gode o che può muovere.

Una retorica, quella della colpevolizzazione delle minoranze, che cozza con l’altra, quella del “chi?”, “ce ne faremo una ragione”, “se qualcuno s’arrabbia, non è un nostro problema”, vale a dire con tutta la mistica delle donne e degli uomini forti, giovani e vincenti.

Ma soprattutto, quando le maggioranze tentano di incolpare, addirittura preventivamente, le minoranze per i loro insuccessi e per l’inefficacia della loro azione, la china su cui si inoltra la democrazia e per la quale rischia di scivolare, è davvero rischiosa e preoccupante.

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