Per la crescita e per il benessere. Ma di un altro tipo

“Sei venuto anche tu? Bravo”, disse con paternalistica accondiscendenza il vecchio avvocato vedendosi comparire davanti, fra i delegati al congresso del partito, il ragazzo del droghiere, che sapeva appena capace di leggere, scrivere o far di conto. “Sì,  il mio voto vale quanto quello di tutti gli altri”, rispose il giovane. “Già”, commentò un amico dell’avvocato, come lui anziano, come lui sorpreso, “hai ragione, giovanotto. Per fortuna è come dici, o purtroppo è così”.

Ci sono argomenti su cui esrpiemre la propria opinione, rischia di apparire un’inutile esercizio di presunzione. Eppure, a volte bisogna correre quel rischio. D’altronde, non ho la cultura, il censo e la stirpe per rischiare di ritenermi superiore a nessuno, e quindi proverò a dire come la penso su alcune cose che vedo.

L’ultima rilevazione dell’Istat sui consumi culturali, ci dice che il 94,9% degli italiani guarda la televisione, il 59 ascolta la radio, il 56,6 legge i quotidiani e appena 44 italiani su 100 leggono libri. Quarantaquattro italiani su cento.

Non sono dati del tutto nuovi. Alcuni anni fa, Tullio De Mauro scrisse un libro, La cultura degli italiani, proprio per mettere in guardia sui rischi che si stavano correndo. Ovviamente, anche quello non fu letto e il suo autore ignorato. Fu ignorato a destra, perché dal mantenere bassa la cultura dei propri connazionali, quella parte politica ha sempre tratto un punto di forza per la sua propaganda demagocica e populista, ma fu ignorato anche a sinistra, dove una debolezza, che dell’altra parte scimmiottava i metodi e i mezzi, e una sedicente cultura pragmatica cominciarono a usare il verbo del concretismo come una clava contro tutto ciò che puzzasse, anche solo da lontano, di riflessione.

E ora eccoci qua, al punto in cui quelli che, semplicemente, non leggono libri dopo il loro percorso scolastico obbligatorio sono diventati, nei fatti, il primo partito. “Sciegliete uno come voi”, viene chiesto loro in ogni campagna elettorale. E questi lo fanno, ovviamente. Dopotutto, purtroppo o per fortuna, quel voto “vale quanto quello di tutti gli altri”.

A nulla serve il ragionamento, il provare a dire che io, di uno come me, non saprei che farmene, e che per decidere le sorti e i destini di tutti ne vorrei uno migliore di me. A nulla provare a spiegare che solamente cercando di capire, anche da soli, come funzionano le cose, si può immaginare il come si possa farle funzionare meglio. A nulla cercare di far proprie le parole che Gramsci rivolgeva a quelli che si lamentavano della difficoltà nel comprendere le cose: “compagni, dovete studiare”.

Per i governanti e per chi ambisce a essere fra quelli, è più comodo continaure a perpetuare questo stato di cose, piegando la cultura diffusa, al massimo, agli interessi economici e di produzione, e spuntando a essa le eventuali armi per la critica dell’esistente. E per i governati, è più facile così: deresponsabilizza e facilita l’approccio col mondo e con la sua gestione, che diviene affare di altri e non anche propria incombenza.

Il numero di quelli che rifuggono le pesanti fatiche del pensiero per rifugiarsi nella vana idolatria dell’immagine della prassi è ogni giorno in aumento, infoltendo continuamente le schiere degli aderenti a quel primo partito che si ferma al segno, senza scavarlo per capire il significato, in una spirale discendente e dentro una strana alleanza fra dominati e dominanti che pare non avere via d’uscita.

Voglio dire che sarebbe opportuno limitare i diritti civili e subordinarli alla cultura dei cittadini? Sarebbe follia, ed è esattamente il contrario di quello che ritengo vada fatto. Vorrei che il primo obiettivo di chi fa politica, specialmente da sinistra, dinnanzi a cifre come quelle del citato rapporto statistico, sia quello di far sì che quei dati non debbano ripetersi ancora nel prossimo, o addirittura peggiorare ancora.

Lo so, pare assurdo: discutere di indici di lettura dei libri, quando i numeri che interessano oggi la politica e le istituzioni sono quelli dell’andamento del Pil e dei consumi al dettaglio. Eppure, credo che quella culturale e non quella materiale sia la crisi peggiore in cui stiamo cadendo.

Sono contro il benessere e per la decrescita? Non credo sia questa la chiave di lettura giusta. Con le parole di Riccardo Lombardi: “la nostra lotta è contro la società affluente e il benessere, non già perché non vogliamo il benessere, ma perché vogliamo un certo tipo di benessere, non quello che domanda tremila tipi di cosmetici o una dispersione immensa di risorse, ma quello che domanda più cultura, che domanda più soddisfazione ai bisogni umani, più capacità per gli operai di leggere Dante o di apprezzare Picasso, perché questa, che preconizziamo, è una società in cui l’uomo diventa diventa diverso a poco a poco e diventa uguale; diventa uguale all’industriale o all’imprenditore non perché ha l’automobile, ma perché è capace di studiare, di apprezzare i beni essenziali della vita”.

Ecco: per la crescita e per il benessere. Ma di un altro tipo.

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3 risposte a Per la crescita e per il benessere. Ma di un altro tipo

  1. Pingback: Una maggioranza che arriva da molto lontano | Filopolitica

  2. Fabrizio scrive:

    Quando si arriva a sistemi economici e finanziari “saturi” si riconcia daccapo a scapito ………..
    Dal 2014 ad oggi i politici governanti hanno parlato sempre di crescita e crescita ma per chi ?
    Per confondere quale miglior momento una crisi inpensabile come Brexit ;una crisi non del solito paese eurozona ma di un paese dell’alta finanza.

  3. Fabrizio scrive:

    Il Renzi a Merkel: Noi le regole le rispettiamo, ma nel 2003 Germania e Francia non le hanno rispettate
    IL Renzi a Merkel: il governo Berlusconi , per farvi un favore ( una buona parola del Renzi… ) diede il suo consenso.
    I quattro attori politici governanti , periodo dal 2001 al 2006 , erano:
    Berlusconi , Aznar (Spagna ), Chirac ( Francia) , Schroeder (Germania), Tony Blair (Gran Bretagna)
    Se Francia e Germania non hanno rispettato le regole dei trattati perche’ gli altri tre attori avevano in mente di fare determinate cose in cambio del loro consenso.
    Premesso che con il passaggio all’euro alcuni paesi come Italia, Spagna, Grecia , Portogallo ci hanno rimesso di piu’ rispetto alla Francia , la trasformazione liberista e’ iniziata con il Duo Berlusconi/Aznar-
    Trasformazione del mercato economico, privatizzazioni, cementificazione a tutto spiano, secondo il motto
    “Tutti stanno bene, ristoranti pieni, alberghi pieni, spiagge invase dai cittadini per le vacanze “
    “Olimmpiadi Barcellona 2013 “
    In piu’ sono stati ratificati condizioni su produzione di determinate materie metallurgiche, acciaio e non solo.

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