L’opposizione non è un crimine

Essere contro il Governo non è reato. Stupiti? E vi dirò di più: non è nemmeno peccato. Né è alto tradimento nei confronti della Patria o vilipendio verso le massime istituzioni. No. Semplicemente, è uno dei pilastri della democrazia: si chiama, fare opposizione.

Lo so, non siamo più abituati, e forse non lo siamo mai stati, se pensiamo che una certa storiografia politica (veramente, più un’agiografia di alcune personalità politiche) ha sempre raccontato come i momenti responsabilmente più alti e elevati della nostra storia pre e post repubblicana quelli in cui, sotto le bandiere dell’unità nazionale, partiti e blocchi sociali deponevano le loro idee e si mettevano, appassionatamente, a collaborare.

Ora, io non nego che su alcune cose sia normale andar d’accordo e su altre opportuno, se non necessario, lavorare insieme. Ma da noi, invece, questa tensione è, come dire, un po’ troppo spinta, al limite delle pratiche consentite e sempre officiata, da chi vi si dedica, con una delizia di spirito e abnegazione estatica quanto meno inopportuna.

Bene, nel resto del mondo, vi sembrerà strano, ma può succedere anche che ci sia una forza politica o una coalizione chiamata a governare, e le altre che a questa e alla sua azione si oppongono. E con forza, mica tanto per far qualcosa.

E il bello di tutto questo è che proprio la presenza dell’opposizione qualifica la democrazia e la differenzia da tutte le altre forme di regime. Se questa non vi fosse, ci sarebbe solo una maggioranza, che sarebbe totalità e quindi delineerebbe un altro modello di strutturazione dello Stato. Nelle democrazie e nelle forme liberali delle organizzazioni politiche, invece, le idee dei governi, pur se ovviamente sono quelle della maggioranza, si possono non condividere.

Può capitare, per esempio, che in un sistema democratico una riforma epocale portata avanti da un governo perfetto e votata dal miglior partito, a qualcuno possa pure non piacere. E, sempre in quel contesto, può persino accadere che a quel qualcuno sia consentito addirittura di dire apertamente che non condivide quella riforma. E, ancora in quel regime, è ammissibile e legittimo, pensate a quale stravaganza si arriva, che quel qualcuno provi, con tutti i mezzi a sua disposizione, a far sì che quella riforma non venga approvata.

Ma la cosa che veramente a dirla oggi qui da noi sembra davvero follia (che lo sia?), è che a quel qualcuno venga garantito il diritto a provarci. Vengano, cioè, stabilite tutta una serie di norme e messi a punto una teoria di strumenti perché anche quel piccolo gruppo di folli contro la maggioranza, possano provare a mettere in pratica le loro idee, seppure minoritarie.

Come è mai possibile che esistano sistemi così tanto degenerati da permette e, blasfemia, tutelare la libertà di pensarla in modo differente dai più? Ci ho ragionato un po’ su, e credo, ma non vorrei sbagliare, che la ragione di simili comportamenti a noi incomprensibili, risieda nella convinzione, da parte di quegli strani popoli, che la democrazia non sia la dittatura della maggioranza, ma un sistema che garantisce la pluralità delle visioni, la diversità delle opinioni e il diritto al dissenso delle minoranze. E soprattutto, che la maggioranza sia una condizione temporanea e una situazione contendibile da tutti con le proprie idee, non un cardine fisso nel tempo e un gruppo assolutamente dato e determinato, a cui tendere e di cui provare a far parte sbarazzandosi delle zavorre del pensiero indipendente, originale e autonomo.

Pensate un po’ che in quei sistemi, se un politico, anche isolato, prova in tutti i modi a contrastare il governo, nessuno lo chiama gufo. E se un intellettuale prova a dire che una riforma non gli piace, non è apostrofato come professorone. E quelli che continuano a difendere le loro idee, anche quando perdono, non sono definiti rosiconi.

Tutto questo, dicevo, è perché quei popoli non vedono la democrazia come il dominio dei più sui meno. Perché per quello, che altro non è che la traduzione nel sistema elettorale della legge del più forte, non c’è certo bisogno di un sistema complicato, fatto di tutele dei diritti, delle libertà e delle opinioni. Basta la jungla, quella dove vivono e prosperano il giaguaro e il gattopardo, o la palude, dove tutto si ferma e regna il caimano.

La democrazia, invece, fa a meno di mitici animali da bestiari e, più semplicemente, cresce sul dibattito e nel rispetto delle posizioni di entrambi. In quel rispetto, mantiene le differenti posizioni chiare, distinte, separate, non le disprezza a parole per poi unirle nei fatti in un unicum nel quale sfumano i contorni di tutto, per poter facilmente far apparire come qualcosa il niente che vi domina.

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