Affare da ceto

“Quelle di secondo livello per la Provincia, sono le elezioni più politiche che ci troveremo ad affrontare”. Questa frase l’ho sentita durante un incontro in cui si doveva discutere di politica, appunto, ma anche di amministrative. Nei fatti, chi l’ha pronunciata (persona che, peraltro, gode della mia stima e del mio apprezzamento per il suo impegno e lavoro), dava al termine “politiche” un’accezione accresciuta dalla considerazione che a votare fossero solo sindaci e consiglieri, cioè altri politici. Le due cose, quindi, politica e amministrazione, non solo non erano disgiunte nel ragionamento (e come potevano esserlo?), ma la seconda attribuiva “un più” di valore e concretezza alla prima.

Ora, per me l’amministrazione non toglie nulla alla politica, ovviamente, ma è questa ad aggiungere a quella un qualcosa, in termini di visioni e di idee, non viceversa. In quel concetto espresso nella proposizione con cui ho iniziato, invece, avviene il contrario, riducendo  la politica a una serie di questioni tecniche e operative. E non solo lì, purtroppo. Il pensiero collettivo e ampiamente condiviso che ha portato alla riforma delle Province, muove proprio da una logica simile, così come, in parte, quello che sottende alla riforma del Senato e, sotto alcuni punti di vista, anche quello che sta alla base della nuova legge elettorale, quell’Italicum già approvato dalla Camera.

In pratica, ciò che si tende ad affermare è che la politica sia affare da addetti ai lavori, tecnici, “ceto”, se mi si passa l’espressione. Non esperti di teorie e dottrine politiche, intendiamoci, ma proprio di pratiche amministrative, di sindaci (il “sindaco d’Italia” vi ricorda qualcosa?), assessori e presidenti esperti nella gestione quotidiana della macchina pubblica. E del potere.

Perché, in fin dei conti, in questo sistema tutto si riduce al governo, non già dei processi, ma proprio di quello che si esprime nel Palazzo. La governabilità, infatti, diviene il metro con cui si giudicano le assemblee democratiche e i criteri che sottendono alla loro formazione. E cos’è questo concetto se non la sussunzione a livello legislativo delle pratiche dell’esecutivo? O meglio, la loro coincidenza e riduzione, con buona pace di Montesquieu.

Guardate all’azione esortativa che l’attuale presidente del Consiglio (e i tanti coreuti e corifei, vecchi e nuovi) porta a sostegno delle sue proposte di riscrittura del sistema istituzionale e costituzionale; che cosa dice Renzi? “O votate quello che noi abbiamo deciso, o vado via”. Cioè, chiede al Parlamento, al potere legislativo, che dal suo dovrebbe essere autonomo, di ratificare le decisioni prese da quello esecutivo, che quindi prende una posizione predominante, e decise al di fuori del corretto e normale dibattito politico. In sintesi, si chiede al Legislatore di onorare, in modo indiscutibile, gli impegni presi dal Governo, riducendolo a una funzione notarile, di validazione, quando non semplicemente esornativa, di completamento estetico.

Però, a questa funzione subalterna agli esecutivi, i componenti delle assemblee elettive non si ribellano? No, o almeno non nella loro parte maggioritaria. E perché? Semplicemente per il fatto che non ritengono quello un ruolo subordinato, ma l’unico modo in cui si esplica la politica nelle dinamiche del suo essere-per-il-governo. In un simile orizzonte, è chiaro che le elezioni divengono la selezione di un funzionariato tecnico e amministrativo, e quindi, se di secondo livello, come quelle provinciali o del Senato, secondo quanto previsto dalla novellata riforma di Boschi, Verdini e Calderoli, ma anche, e sotto molti profili, quelle per la Camera con il Porcellum o l’Italicum, assumono le caratteristiche delle “più politiche”, proprio perché la scelta è fatta da altro ceto politico o attraverso liste bloccate da questo predisposte, in modo da ridurre al minimo la possibilità che vengano eletti candidati non in linea con una visione esclusivamente governistica della politica.

E la rappresentanza, la partecipazione, in una parola, la democrazia? Ma che razza di domande sono? Qui bisogna andar di corsa, fare in fretta, essere efficaci ed efficienti; credete che abbiamo tempo da perdere con simili sciocchezze?

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