La partenogenesi in politica

Magari è vero che loro non c’entrano nulla. Così come può essere che le norme si scrivano da sole, che gli emendamenti si compongano per caso, che le decisioni nascano non per volontà di chi di decide, ma per partenogenesi.

Prendiamo il caso dell’immunità dei senatori nella riforma in discussione al Parlamento. Il Governo non la voleva, dice la ministra Boschi. Ma neanche i relatori del testo in Commissione affari costituzionali, Finocchiaro e Calderoli, la volevano. Nessuno ne rivendica la paternità, eppure c’è.

Oppure, prendiamo la “riforma Fornero”. Questa un nome lo ha, quello della madre. Però, la volontà della ministra non sarebbe bastata a farne una legge dello Stato, senza dei padri disposti ad approvare quelle proposte e poi a convertire il decreto. Eppure, quando ne senti parlare da quelli che erano là dove concepimento e parto avvennero, nelle stanze di Palazzo Chigi e fra le aule del Senato e della Camera durante la passata legislatura, nessuno la riconosce: l’avranno approvata i banchi, non c’è altra possibilità.

O prendiamo il fiscal compact. Se c’è una norma che è anche un’ideologia è quella; è stata varata perché si credeva e si diceva che la stabilità e l’equilibrio dei conti fosse l’unico parametro da mantenere in ogni caso per risollevare l’economia (ecco perché finì addirittura in Costituzione), votata nel minor tempo possibile per operazioni di quella natura e portata sul tavolo delle trattative a Bruxelles come simbolo, segno e atto concreto dell’azione di cambiamento positivo messo in campo dal nostro Paese e dalla sua classe dirigente politica: oggi, nemmeno Hercule Poirot riuscirebbe a scovarne i responsabili.

Eppure, fatti e protagonisti, sono tutti sotto gli occhi di chiunque. Per citare un altro campione di indagini poliziesche romanzate, non c’è mica bisogno Auguste Dupin per trovare la lettera rubata: è lì, nello studio del ministro “D” (il fatto che il colpevole, nell’opera di Poe, sia un rappresentante delle istituzioni, è una circostanza del tutto casuale), in bella evidenza nel portacarte sulla scrivania.

Ma niente, non si riesce a scorgerla e ci ostiniamo a frugare ovunque, con minuziosa mania da retroscena, e forse lo facciamo proprio perché non vogliamo trovarla, per non doverla poi leggere.

Perché a quel punto dovremmo farci i conti. Quando Renzi dice, ad esempio e ancora ieri nell’incontro con i rappresentanti del M5S, “mai più larghe intese e inciuci”, se cogliessimo quanto c’è scritto in quella lettera, dovremmo dirgli: “ma come, chiami sprezzantemente ‘inciucio’ lo schema che regge il tuo Governo?”. E non varrebbe, nel caso, nemmeno la scusa sempre pronta del “non ci sono alternative”. Perché, se non ci fossero alternative, allora non ci sarebbero speranze alla possibilità di uscire dallo schema che ci ha portati al punto in cui siamo (e che è il medesimo), e perché, l’alternativa alle larghe intese di legislatura a guida Renzi, c’era già, ed erano le larghe intese fino alla primavera del 2015 a guida Letta (e che non mi piacevano almeno quanto non mi piacciono queste; quindi non è un giudizio di valore, ma una considerazione).

Ma pure in questo caso, è stata presa una decisione da nessuno. Anzi, dall’ineluttabilità, che ormai da sola esercita il potere esecutivo in Italia, da almeno gli ultimi tre governi d’intesa a questa parte. L’ineluttabilità ha votato la “riforma Fornero”, ha approvato le norme del fiscal compact e scritto gli emendamenti sull’immunità dei senatori, voluto le larghe intese e bloccato ogni possibile alternativa. E di questo, nessuno ha la responsabilità; è inutile cerare di attribuirla a qualcuno.

Ora è tutto chiaro. Mi rimane solo un dubbio: se la politica, per la formazione delle decisioni, procede per partenogenesi, se è l’ineluttabilità a dettare le cose da fare e nessuno ne è responsabile o può fare qualcosa di diverso da quello che viene fatto, perché mai dovremmo avere o scegliere qualcuno per farlo?

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