Della Repubblica e dei beni comuni

La giornata di festa appena trascorsa celebra la Repubblica. Per dirla meglio, però, il 2 giugno si ricorda la scelta fatta dal 90 per cento degli elettori di allora (quando si dice che la partecipazione non è importante), per la prima volta con il voto delle donne, che, oltre a eleggere un’assemblea costituente, decisero quale doveva essere la prima affermazione della nuova Carta che da lì a meno di due anni sarebbe stata approvata: l’Italia è una repubblica.

Da quel voto, prese inizio il lavoro di costruzione dell’identità repubblicana del Paese, che i costituenti vollero puntualizzare democratica (aggettivo usato solo due volte in tutta la Costituzione, nel definire la forma repubblicana, all’articolo uno, e nel descrivere i metodi di partecipazione alla vita politica attraverso i partiti, all’articolo 49, a sottolineare l’importanza dell’una e degli altri), e fondata sul lavoro, come idea di contribuzione di tutti i cittadini al farsi comunità di quel Paese in macerie, non solo materiali, uscito dal secondo conflitto mondiale e dal ventennio fascista.

In tutto il dettato costituzionale, i deputati dell’Assemblea vollero sottolineare più volte il carattere repubblicano di quella che sarebbe stata la futura Italia. Non si fermarono a semplici enunciazioni di principio, ma entrarono nel merito, parlando di eguaglianza e di azione dello Stato diretta alla rimozione degli ostacoli che la impediscono (art. 3), di obbligo morale e civile a partecipare al benessere collettivo e sociale, politico e culturale del Paese (art. 2 e art. 4), di tutela e salvaguardia del patrimonio comune, della cultura, del paesaggio e dei beni storici e artistici della Nazione (art. 9).

Il paesaggio, come l’ambiente e il territorio, il lavoro, come l’arte e la cultura; ecco, è anche tutto questo che si celebra oggi. Oggi è come se fosse la festa della Repubblica e del patrimonio di tutti noi, dei beni comuni.

Perché, in effetti, è anche di questi che in un certo senso parla quella Costituzione che fu il prodotto del lavoro iniziato in quel giorno di quasi fine primavera di 68 anni fa. Parla delle istituzioni come luogo di tutti, per la cui vita i cittadini si organizzano, con metodo democratico, e alla cui gestione partecipano. Parla della Repubblica come spazio di collaborazione e condivisione. Parla del Paese come patrimonio comune, in cui la proprietà è pubblica e privata, e la seconda è sì riconosciuta e garantita, ma le legge, oltre a prevederne i modi di acquisto e di godimento, ne fissa anche “i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale” (art. 42).

Quelle parole e quei principi furono scritti allora. Appena tre anni fa, il 12 e 13 giugno del 2011, 26 milioni di elettori (si ricordino del numero quanti ne ignorano il messaggio fortemente costituzionale nella portata, mentre vedono negli 11 milioni di voti per Renzi alle europee un mandato chiaro sul verso delle riforme della Costituzione) si espressero per “l’acqua bene comune”. E al di là delle capziose discussioni sui limiti di remunerazione per gli investimenti e le loro incidenze tariffarie, quei cittadini altro non facevano che ribadire un concetto: quello del godimento e della gestione comune di un bene di tutti.

Un concetto che vale per l’acqua nel referendum del 2011, per la cultura nei tanti casi di gestione collettiva di strutture o esperienze (penso al Teatro Valle, ma non solo), delle lotte per la difesa del territorio, dall’Alpi dei  no Tav alla Sicilia dei no Muos, per le tante esperienze di gestione cooperativa di aziende in crisi, ma anche di recupero e riutilizzo di strutture abbandonate, che hanno esaurito la loro “funzione sociale”, come recita la Carta, e che i cittadini e i lavoratori, la parte  viva dell’altrimenti vuoto concetto di repubblica, volgono al soddisfacimento di diritti fondamentali: il lavoro, la casa, una vita libera e dignitosa per loro e per le proprie famiglie.

Tutto questo si celebra oggi, tutto questo è la Repubblica. Perché se non è la festa di chi quella la vive tutti i giorni, in cui soffre e gioisce, in cui trova il suo spazio e il suo modo di stare in società, allora non è nulla di tutto ciò che i padri costituenti vollero creare. O questa è un bene comune, inclusivo e capace di tenere dentro, rappresentandoli, tutti i suoi cittadini, oppure è solamente il campo di azione di una parte, anche se maggioranza, mentre per gli altri rimanere esclusivamente la possibilità di starsene a casa o, al massimo, far da spettatori, come da dietro le transenne durante una parata militare.

Questa voce è stata pubblicata in libertà di espressione, politica, storia e contrassegnata con , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento