La tentazione di Bartleby

Ma dove sono finiti tutti i volti noti, i personaggi famosi, i cantanti, i registi, gli scrittori che, al tempo delle primarie, non mancavano mai?

Questa domanda, tirata fuori da un’amica durante un piacevole, anche se breve, scambio di opinioni nel pomeriggio, me ne ha fatta venire un’altra: ma tutti quelli che ci spiegavano che ci voleva il cambiamento, dal giornalaio sotto casa all’imprenditore sopra tutti, dove sono ora?

Perché, in effetti, è curioso che coloro i quali fino a ieri dicevano, a chi non l’aveva votato alle primarie del dicembre 2012, “ah, se ci fosse stato Renzi”, proprio oggi che Renzi c’è, s’assentino. Inoltre, è altrettanto ironico che tutto il rinnovamento fatto contro il vecchio apparato, adesso che ha vinto, quasi non si veda. O meglio, è quasi come se i rinnovatori s’attendessero solamente da quell’arcaico attrezzo dei partiti andati, l’impegno pratico nell’agone elettorale. In conto terzi, ovviamente; ché del risultato positivo, il merito sarebbe solo e soltanto del capo, ça va sans dire.

Come pure, fa sorridere che si sposti il tiro dell’artiglieria sulle casematte del sindacato, azzerandone l’alzo per far fuoco ad altezza d’uomo, che si demolisca culturalmente il senso stesso d’una appartenenza, vissuta con fastidio e vista come problema, e poi ci si aspetti da quegli appartenuti non la semplice lealtà (e pure quella dovrebbe essere reciproca), ma un’entusiasta e fervida condivisione e un’acritica e solerte abnegazione.

La metto giù semplice: chi guida Paese e partito, ritiene che tutto ciò in cui credono romantici rottami come me, sia il male assoluto dell’Italia. Di più: ci viene spiegato, un giorno sì e l’altro pure e fatto vedere, con l’ausilio di qualche slide colorata, come le nostre idee sulle modalità di partecipazione all’interno dei corpi organizzati, siano solo stupide nostalgie non più al passo coi tempi, e che quegli orizzonti valoriali, il sindacalismo e la centralità del lavoro (il socialismo?), la rappresentanza democratica e i fondamenti della Costituzione, sono vuoti talismani di una politica primitiva, perché oggi quel che conta è solo la governabilità, la velocità d’azione e le doti del leader. E nel caso non fossimo d’accordo, loro, spiegano, se ne farebbero una ragione, andando avanti comunque.

E se ce ne facessimo noi una ragione? Dico, se di fronte a chi s’aspetta un impegno per spingere il carro su strade e in direzioni che non condividiamo, e nel frattempo continua a dire che il nostro punto di vista è completamente errato, facessimo come Bartleby, lo scrivano di Melville, e dicessimo anche noi “preferirei di no”?

Potremmo sempre sederci ai tavolini di un bar o sui gradini ai bordi di una piazza, e poi, quando tutto sarà finito, e nel caso non dovesse andar proprio bene, dire: “ah, se ci fosse stato quell’altro”.

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