Dell’art. 18 e dei totem e tabù del liberismo alla Monti

Chiariamoci subito, meglio di Berlusconi qualsiasi cosa. Detto ciò, non basta non fare le corna ai summit internazionali o evitare di ruttare davanti ai microfoni per essere il miglior Governo possibile.

Questo impazzimento collettivo, questa vulgata continua e ripetitiva del Governo del rigore e della sobrietà ha stancato. E soprattutto nasconde la verità: quello che abbiamo è il governo più liberista che l’Italia ha mai conosciuto. Con eleganza, per carità, e buone maniere, che dovrebbero essere il minimo per fare quel mestiere, ma le ricette, le teorie e le proposte del governo Monti sono quanto di più chirurgicamente liberista si sia mai visto applicare all’economia ed al tessuto produttivo del Paese.

Alcune delle proposte del Governo possono anche far bene alla nostra economia asfittica e corporativa, non lo nego, ma l’aspersione di sacralità che i partiti maggiori fanno intorno alla squadra di banchieri e professori è francamente stucchevole.

E poi, sinceramente, alcune delle uscite dei ministri e del capo del Governo, in contesti normali avrebbero dovuto far saltare l’intero esecutivo, specialmente se sostenuto dai parlamentari che siedono più a sinistra negli emicicli delle Camere.

Se Brunetta avesse definito sfigati gli studenti oltre i 28 anni, se la Gelmini avesse gettato la croce addosso a chi non riesce a trovare un lavoro che sia uno chiamandolo mammone e fallito, immaginate cosa avrebbero fatto i parlamentari del Pd. Invece, se lo fanno la Fornero, la Cancellieri e Martone, gli stessi onorevoli del Pd gli votano fiducia e provvedimenti. There is something rotten in Italy, e credo sia più di un’impressione se si guarda all’attuale Parlamento.

Prendiamo l’art. 18. Cos’è cambiato dal 2002? Come mai oggi si può tentare di stravolgere un testo che alla fine si applica a pochi lavoratori e che forse è stato l’unico vincolo a che i lavoratori di intere linee di produzione di grandi fabbriche finissero per strada dalla sera alla mattina.

Ma il mantra oggi è la “modernizzazione”, come ci ripetono tutti anche dagli spot che hanno l’unico effetto di farmi pentire degli acquisti passati e di farmi ripromettere di non acquistare mai più i prodotti di quella ditta in futuro. E allora via tutto, senza tabù, come ama ricordarci il nostro Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ed allora, via i tabù, e via i totem. Perché se nella mente montiana l’art. 18 è un tabù per i sindacati, io credo che la deregulation in ambito lavorativo sia solo un totem di certo pensiero liberista, lo stesso pensiero che ci ha portato all’attuale stato dell’economia italiana, europea e mondiale. Che dai campioni di quelle strade ci vengano ora indicate le ricette per salvarci mi pare davvero paradossale.

Davvero qualcuno pensa che la ditta Tal dei Tali spa in questo momento non assuma perché si spaventa dell’eventualità dell’imposizione del reintegro se dovesse mai licenziare qualcuno e nell’ipotesi che un giudice accerti che il tutto è avvenuto senza giusta causa? Si è davvero convinti che per incentivare le assunzioni dovremmo ora poter garantire il licenziamento di quei pochi che ancora hanno un lavoro più lungo del tempo necessario a leggere il contratto?

L’abolizione dell’articolo 18 è poco più di un trofeo, che le novelle Salomè dell’industria italica chiedono ad Erodi orami sempre più succubi delle sinuosità delle tante banche vestite da figlie di Erodiade.

Qualcuno ha capito che sbeffeggiare i già vinti può essere pericoloso? Ci sono ancora forme umane in quei corpi che gestiscono le sorti delle economie mondiali? Si comprende che schiacciare la testa a chi ha già perso tutto quanto poteva perdere, incolparlo anche delle sua sconfitta, umiliarlo ed offenderlo può innescare reazioni impossibili da prevedere e difficili da contenere?

Bravo Monti, sei un vincente, sei bravo. Tu e i tuoi ministri siete perfetti, avete vinto tutto ciò che potevate, siete ricchi, eleganti, competenti. Ma smettetela di salire in cattedra. Fra la scuola e la vita ci sono delle differenze, caro sottosegretario Martone, che fanno sì che lo “sfigato” s’incazzi e non sia disponibile a sopportare le beffe d’un figlio di papà.

Cara ministra Cancellieri, se tu fossi seria un quarto di quanto dicono sia serio il governo di cui fai parte dovresti dimetterti per aver offeso la metà del Paese che sei chiamata a guidare solo per aver pensato quelle stronzate sul posto di lavoro vicino “a mammà”. Io sono nato in una terra dove i nati della mia generazione si stenta a trovarli, dove, come solo dopo le guerre accade in altri posti, intere classi di nascita sono letteralmente sparite dai paesi e dai borghi, dove basta una nevicata a far emergere il dato che mancano braccia giovani per spalare. Ma chi l’ha mai avuta l’idea di un posto fisso vicino casa dei genitori? Ma di cosa stai parlando? Ma che ne sai tu della fatica di doversi spostare? Che ne sai tu di doversi confrontare con la mancanza di lavoro a casa tua e la ricerca di un impiego in altre parti di un Paese che è tuo solo nei libri di storia? E quello che vale per me vale per la maggior parte dei nati fra l’Etna e la Maiella.

Cari ministri, provate a smetterla con la tiritera della sobrietà predicata, ed iniziate a cimentarvi con un po’ d’umiltà praticata. Altrimenti, alle condizioni sempre più difficili di chi davvero non sa come passare le settimane, aggiungerete l’astio sempre montante verso chi delle sue disgrazie, incolpandolo, sembra sorridere.

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