Doppia sconfitta, futura alternativa

            Due a zero. E speriamo palla al centro. Non c’è che dire, siamo stati sconfitti. Punto e basta. Ora il gioco del tirare la croce addosso a quello o a quell’altro non serve a nulla, anche se sta coinvolgendo tutte le forze degli sconfitti, dal Pd alla Sinistra Arcobaleno.

            Bisogna capire perché si è perso. Innanzitutto, dal mio punto di vista, è necessario capire perché la Sinistra ha perso tanto da scomparire dal Parlamento. Colpa del voto utile? Un po’, ma non è tutto. Colpa di un’alleanza un po’ raffazzonata e sentita solo come un cartello elettorale? Anche, ma non credo sia tutto. La Sinistra (e lo dico con tutta la brutalità che una cocente sconfitta mi ispira) è sparita dal Parlamento perché prima ancora era già sparita dalla vita reale. La Sinistra non c’era più nei luoghi di lavoro, non parlava più e non ascoltava più quelli che diceva di voler rappresentare: il popolo, i lavoratori, la gente comune. Ha perso il Pd perché la gente non ha capito l’inglese di Walter Veltroni, quel I care che non si sostanziava in nulla di concreto e quel yes, we can che lasciava perplessi. Ha perso il Pd perché dietro quell’americanismo vi era una proposta che inseguiva quella della destra, e che ha spinto l’elettore a scegliere l’originale. Così come ha perso la Sinistra l’Arcobaleno perché l’italiano di Fausto Bertinotti era ancora più incomprensibile dell’inglese di Veltroni, perché quel concetto dell’antiliberismo non era commestibile, perché si davano visioni del mondo e della società costruite a tavolino, perché si è tentato di proporre una ricetta con delle risposte studiate in biblioteca a domande che venivano dalla strada e che non si sapeva più ascoltare.

            E la dimostrazione di ciò è venuta domenica e lunedì da Roma. Rutelli ha perso contro Alemanno, il piacione delle serate fra paiette e lustrini è stato sconfitto dal più ruspante politico ex-missino (marito di una donna che di cognome fa Rauti, tanto per gradire) che invece che nei salotti è sceso a prendere abbracci o insulti, e non lo sai finché non ci vai, nelle periferie e nelle borgate. E proprio lì ha vinto di più. Ma non è solo questo. Negli stessi giorni si è votato anche per il presidente della Provincia di Roma. Zingaretti, candidato del centro sinistra, ha vinto, prendendo a Roma città 60 mila voti in più di quelli che ha raccolto Rutelli. Cioè, 60 mila elettori sono entrati in cabina ed hanno votato Zingaretti alla Provincia ed Alemanno al Municipio. E perché Zingaretti si, e Rutelli no? Non certo perché il primo era più “famoso”, tutt’altro. Forse invece è stato proprio il fatto di essere meno sotto la luce dei riflettori che ha spinto gli elettori a scegliere Zingaretti (oltre, ovviamente, al dato che la gestione della candidatura al Comune fatta dal Pd ha dimostrato una concezione proprietaria della politica cittadina che gli elettori non hanno gradito). In altre parole, Zingaretti rappresentava un politico “essenziale”, che bada al sodo, alla risoluzione dei problemi, alla condivisione di un progetto di società con i propri elettori, in una parola a “fare Politica” e non vetrina.

            Voglio dire che anche la Sinistra l’Arcobaleno ha fatto vetrina? Un po’ si. Ma ha anche dimenticato come si sta fra le persone. Voglio essere ancora più cattivo, e tenendo presente che io ho fatto la campagna elettorale per la Sinistra l’Arcobaleno: mentre il Pd ha ricercato i voti del centro politico, la Sinistra l’Arcobaleno ha inteso raccogliere quelli del centro storico, quelli dell’elite culturale, quelli un po’ snob e intellettualoidi che, come direbbe Di Pietro, non c’azzeccano nulla col popolo e coi lavoratori. Risultato: ha stravinto Berlusconi, ed ho detto tutto.

            La sicurezza è stato un must di questa campagna elettorale. Ora, che le risposte della destra al problema siano inutili e securitarie è assodato. Ma noi abbiamo fatto finta che non ci fosse per nulla il problema. E no, signori miei. Nelle periferie dove vivono i lavoratori e gli operai, a cui guardiamo, qualche problema c’è. Non possiamo mica far finta che tutto va bene. Quelli che hanno realmente paura di uscire la sera sono quelli che stanno nei quartieri più poveri, mica i ricchi. E a quelli vogliamo dirgli o no che “noi siamo dalla vostra parte e cerchiamo insieme una soluzione”? O è “fascista” pure avere paura?

            Il tema del lavoro è un altro desaparecidos della politica di sinistra. Perché al netto di proclami, di carne al fuoco non se ne è messa molta. Stamattina leggevo un reportage su un call center di Matera. Una delle lavoratrici mi ha stupito. “Quando ero all’outbound – dice – guadagnavo a seconda dei prodotti piazzati ed il mio stipendio si aggirava intorno ai 1.600 euro mensili. Ci compravo tante cose, soprattutto vestiti che mi piacciono molto. Poi l’aut-aut: passare all’inbound o andare via. Ho accettato, ma a malincuore. Ora in busta mi rimangono solo 850 euro al mese, ne spendo 350 per un posto letto ed i vestiti li comprerò quando ci saranno i saldi. Se mi avessero offerto un contratto a tempo indeterminato? Avrei rinunciato. Quello che conta oggi sono i soldi, il contratto e poco importante”. Potrebbe sembrare eccessivamente materialista, infantile, ma non lo è. Che succede? Ora siamo noi di sinistra a fare gli schizzinosi e ad abovvive qveste volgavità mateviali? Quella ragazza rimpiange il periodo in cui guadagnava di più, ed ha ragione. Quanto poi al contratto, è chiaro che non posso condividere quanto ha detto, in linea generale. In alcune realtà economiche però è diverso. Ma ragazzi, io da due mesi non sto lavorando perché mi è scaduto il contratto, pensate davvero che sarei tanto schizzinoso se mi offrissero un lavoro con contratto “purchessia”? O credete che lavorare in un’azienda del sud con contratto a tempo indeterminato a 900 euro sia meglio che lavorare con la stessa azienda con contratto rinnovato di anno in anno a 1.600? La sicurezza del posto fisso dite? Forse nel Trevigiano è così, ma qui la cassa integrazione ed il licenziamento per cessazione attività sono la regola anche per i gruppi industriali più stabili. Quindi, pochi maledetti e subito, e poi si pensa. So che è triste dirlo, so che sembra una resa (ma vi assicuro che non lo è, perché io non mi arrendo), ma o incominciamo a lottare per la piena occupazione, come si faceva un tempo, o altrimenti sono solo chiacchiere che chi ha la pancia vuota non si consente nemmeno il lusso di ascoltare.

            E così come la lotta alla Mafia. Non è una battaglia ideologica. La si deve combattere (ed anche qui leggete quanto scrivo con la massima brutalità di cui siete capaci) creando alternative. Perché hai voglia a fare bei discorsi, ma se non si riesce a trovare nulla per assicurare un futuro per se e per la propria famiglia, per assicurare una vita dignitosa, secondo i principi della Costituzione, il tutto è pura vacuità intellettuale. Pablo Escobar era considerato un eroe dal popolo del suo Paese perché aiutava i poveri della sua terra, i quali non avevano tempo per starsi a chiedere se i soldi con i quali mangiavano arrivavano da percorsi legali o meno. Alcuni bambini di una scuola campana, parlando della Camorra, hanno scritto nei loro testi “si, lo sappiamo che quello che fanno è sbagliato, ma quando si ha un problema loro sono gli unici che ci sono”. Rispondete voi a quei bambini per favore, io ancora non ne ho la forza.

            Dicevo prima che non è una resa, ma una brutale considerazione della realtà. Quella vera. Qualcuno potrebbe obiettare che il discorso sulla sicurezza è semplicistico perché questa “insicurezza” ha ragioni più profonde, che la ragazza che preferiva il contratto dei puffi perché guadagnava di più è vittima di una visione distorta della società mirata solo al consumo, che quei bambini campani non capiscono che è proprio quell’atteggiamento culturale a creare l’humus nel quale cresce la criminalità organizzata: certo, e chi dice di no. Però non si dimentichi che tutto quello che esula dal momento primario diventa questione di coscienza; che, come qualcuno diceva, è determinata dall’essere sociale. Estremizzando: rubare è sbagliato, ma se l’alternativa e morire di fame…

Mi sento di sinistra appunto perché voglio lavorare sulle cause, non solo punire o stigmatizzare gli effetti.  Ma voglio lavorare soprattutto per risolvere i problemi che ci sono e che sono avvertiti, non far finta che non ci siano solo perché si ha paura di non saper dare le risposte adeguate. Non me la sento di dire al padre di famiglia che vive in periferia che è solo a causa della mistificazione televisiva se lui ha paura quando fa buio e sua figlia non è ancora rincasata. Lui che non può andare via perché le case in centro costano mezzo milione di euro, perché un affitto in una zona migliore di quella in cui abita costa più di quanto guadagna, non può pure sentirsi dire da me che è un bigotto ed uno stupido che crede a quanto gli dice la tv. Lui ha paura perché quello che a noi lo dice la tv a lui glielo insegna tutti i giorni la strada in cui vive. Ed è insieme con lui che voglio costruire un’alternativa.

Non me la sento di dire a quei bambini campani che non hanno capito nulla di come va il mondo perché i libri che ho letto dicono che è così. Non li hanno ancora letti quei libri, e forse non li leggeranno mai, ma sanno quello di cui parlano perché lo vivono, molto di più di quanto non lo hanno fatto gli autori di quegli stessi libri. Sanno che per loro il futuro probabilmente sarà l’emigrazione, vedono i loro fratelli maggiori andare via in cerca di lavoro. Sanno pure che quelli che non se ne sono andati non riescono a trovare lavoro, e se lo trovano è massacrante e sottopagato. E poi vedono che quelli che hanno fatto altre scelte avere case grandi e macchine importanti, vestire bene e spendere al ristorante. Quei bambini ci dicono quello che a noi forse fa comodo non sentire. Ma è con loro e per loro che voglio lavorare ad un’alternativa.

Quella ragazza infine ci dice qualcosa che non ci aspettavamo, ma pure quella è la vita. Ci dice che “alla fine chi se ne frega del contratto, a me servono i soldi”. Per comprare i vestiti? Anche, io non me la sento di dirle che sbaglia perché è malata di consumismo. E me la sentirei meno se glielo dicessi indossando vestiti in cachemire. Quella ragazza, e milioni di altri lo hanno fatto con il voto, ci dicono che bisogna ascoltare le loro domande se si vogliono dar loro risposte concrete. Se l’alternativa al precariato non è un lavoro stabile ma la disoccupazione senza alcuna fonte di reddito o, nella migliore delle ipotesi, un lavoro più regolato ma che non ti consente di arrivare comunque alla fine del mese, allora io non me la sento di dire a quella ragazza che ha torto. Ma è con lei, con i milioni di ragazzi come lei che intendo ripartire per costruire un’alternativa.

Infine una considerazione, breve, visto che tutto il resto è stato lungo. Io intendo ancora lavorare alla costruzione di un’alternativa di sinistra. Perché? Perché non mi rassegno. Perché ancora credo che ce ne sia bisogno. Ma un bisogno concreto e fatto di cose concrete. C’è bisogno di sinistra perché in Italia e nel Mondo c’è ancora troppa diseguaglianza, fra chi ha tanto che non riuscirà mai a consumarlo e chi invece non ha nulla. Fra chi vive negli agi col lavoro degli altri e chi non riesce a vivere decentemente del proprio lavoro. Fra un dirigente che prende di liquidazione quanto mille lavoratori guadagnano in un anno ed un operario che vede scendere il suo salario col ricatto della “globalizzazione”. Fra chi si arricchisce speculando in borsa e pagando meno tasse di un salariato e chi muore di fame perché quelle speculazioni fanno salire il prezzo delle derrate alimentari. Credo che c’è bisogno di sinistra in un Mondo in cui un miliardo di persone vive con meno di un dollaro al giorno, 18 milioni e mezzo di persone, fra cui 3 milioni di bambini, muore di fame ogni anno e solamente 10-12 milioni di persone (il 2 per mille della popolazione mondiale) detiene e controlla la metà delle ricchezze del pianeta.

Credo ancora che c’è bisogno di Sinistra perché non mi rassegno a che questo sia l’unico mondo possibile.       

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3 risposte a Doppia sconfitta, futura alternativa

  1. anonimo scrive:

    …ovvero…non affonderemo cantando…non siamo mica il Titanic…

  2. anonimo scrive:

    con piacere leggo queste righe, caro Rocco, come presa di coscienza di una sconfitta elettorale che credo rappresenti soltanto la patina di quello che sarebbe piú saggio definire un suicidio politico consumato al chiaro di luna, nella lunga notte dell´ingiustizia sociale … (Antonio Colangelo)

  3. anonimo scrive:

    con piacere leggo queste righe, caro Rocco, come presa di coscienza di una sconfitta elettorale che credo rappresenti soltanto la patina di quello che sarebbe piú saggio definire un suicidio politico consumato al chiaro di luna, nella lunga notte dell´ingiustizia sociale … (Antonio Colangelo)

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